Manifesto

Mostra internazionale cinema Genova
Still excerpted from « Life span of the object in frame », by Aleksandr Balagura

ENG

 

In this film still, the first known photograph (by Nicéphore Niépce, 1826) is seen with the pigeon photographed by Eadweard Muybridge in 1887 and included in one of the famous chronographies (Pigeon Flying, Plate 755) in which the English artist aimed at capturing movement by means of photographic sequences.

 

In this sense, we can assume that Muybridge’s work anticipates, at least ideally, the birth of cinematography, through which discrete sequences of stills create, through the Maltese Cross mechanism, an apparently continuous depiction of motion, which becomes in its turn a representation – albeit illusory – of time.

 

In both Niépce’s photograph and in Muybridge’s chronographies we have evidence, through an almost literal separation of Light from Darkness, in the silver halides, of the creation of a new world: that of photographic images and cinema.

 

Muybridge’s characters, the first inhabitants of this world of images, inaugurate the golden age of the world of cinema – they appear to us as archetypical figurations, almost divine, timeless, eternal and universal – icons of a new universe and of a new sensitivity, described only by their own presence, by the light which illuminates and permeates them.

 

The Mostra Internazionale del Cinema di Genova (Genoa International Film Festival) is inspired by the purity of this first gaze.

 

The Grand Prix of the Exhibition will be thus dedicated to Eadweard Muybridge, and precisely to that Pigeon Flying which appeared to us almost as an image of cinema itself, of the soul in flight.

 

The artist’s soul, flying towards the unknown : we would like the works presented in the Festival, or at least some of them, to be faithful to this native spirit, to its freedom and mystery. To a sincerity where beauty appears immediately as truth, a manifestation of a unique and unrepeatable world, thick with wonder and amazement, harmonic or disruptive, magical or terrifying, the author’s inner world – images that almost seem to generate themselves on the incandescent white of the empty screen, figures of necessity, emanations maybe of that optical subconscious to which Walter Benjamin referred in his essay on photography.

 

Cinema as oneiric fascination, thus – as also Federico Fellini declared in an interview – where the director is both the creator and a guest of his own dream.

 

In this regard, photographic and cinematographic images, from Niépce and Muybridge to Man Ray or Josef Sudek, Bergman Vigo or Dreyer, always travel beyond their authors, they originate perhaps from other worlds, subconscious or simply unknown – fragments of eternity that the artist captures almost as a medium, enigmatic icons that live a life of their own, independently from his intentions.

 

As Andrej Tarkovsky once said : « The image is not a certain meaning, expressed by the director, but the entire world reflected as in a drop of water ».

 

So here we are; we would like to try to gather, in the Festival, these reflections, ephemeral at times, immediately lost, to rescue them from the general devastation and forgetfulness, humble caretakers of the freedom, lightness, power and fragility of art.

 

In this sense, it is our intention to inaugurate a Film Festival that might become, over the years, a point of reference to all lovers of cinema as an art form, to all people who, as authors or spectators, as critics or hardcored cinephiles, live for the cinema. We would like the Festival to also become a meeting point, unique and privileged, where the spectator can escape his own role and become, through the act of observation itself, through the emotion of seeing, a part of the event, and in a certain sense one of its co-creators. This was the case in Greece at the origin of classical theatre, during the Dionysean Festivals, in the unrestrainable emotional flow that overwhelmed all the participants ; this was the case in the great Film Festivals of the ‘60’s and the ‘70’s, at the screenings of Tarkovskij, Buñuel, Godard, Bresson or Antonioni; this was also the case in American Underground Film Festivals with the works of Brakhage, Maya Deren, Robert Frank; hence we would like it to occur once again in the cinema of the Festival.

 

No other place appeared to us more suitable for our purpose than the city of Genoa, with its port and its contrasts, with its dazzling lights and the darkness of the old town, with a thousand languages and its dialect, its innumerable departures and its returns.

 

In harmony with our ethical and aesthetical approach, the Festival Grand Prix will be awarded to a film independently from genre, duration and origin : the winner may equally well be a feature or a documentary or a so called « experimental film » lasting a mere few minutes.

 

We will place particular importance on the film screenings of out of competition and to thematic retrospectives.

ITA

 

In questa immagine la prima fotografia conosciuta (di Nicéphore Niépce, 1826) dialoga con la colomba ripresa da Eadweard Muybridge nel 1887, collotipo incluso in una delle celebri cronografie (Pigeon Flying, Plate 755) dove l’artista inglese si proponeva di cogliere, per mezzo della sequenza fotografica, il movimento.

 

In questo senso, possiamo ritenere che il lavoro di Muybridge precorra, almeno idealmente, la nascita del cinematografo, attraverso il quale sequenze discrete di fotogrammi vengono a generare, per mezzo della Croce di Malta, una raffigurazione apparentemente continua del moto, che diviene a sua volta una rappresentazione – sia pure illusoria – del tempo.

 

Sia nella fotografia di Niépce che nelle cronografie di Muybridge abbiamo evidenza, attraverso una quasi letterale separazione della Luce dalla Tenebra, negli alogenuri d’argento, della creazione di un nuovo mondo: quello delle immagini fotografiche e del cinema.

 

I personaggi di Muybridge, primi abitanti di questo universo d’immagini, inaugurano il secolo d’oro del mondo del cinema – ci appaiono come figurazioni archetipiche, quasi divine, indifferenti al tempo, eterne e universali – icone di un nuovo universo e di una nuova sensibilità, descritte solo dalla loro stessa presenza, dalla luce che li irradia e li permea.

 

La Mostra Internazionale del Cinema di Genova ambisce ispirarsi alla purezza di questo primo sguardo.

 

Il Grand Prix della Mostra sarà quindi dedicato proprio a Eadweard Muybridge, e precisamente a quel Pigeon Flying che ci si è manifestato quasi come un’immagine del cinema stesso, dell’anima in volo.

 

L’anima dell’artista, in volo verso l’ignoto: vorremmo che le opere presentate al Festival, o almeno alcune di esse, fossero fedeli a questo spirito originario, alla sua libertà e al suo mistero. Ad una sincerità dove la bellezza si mostra immediatamente come verità, manifestazione di un mondo unico e irripetibile, denso di meraviglia e stupore, armonico o dirompente, magico o terrificante, quello dell’autore – immagini che si generano come da sole sul bianco incandescente dello schermo vuoto, figure della necessità, emanazioni forse di quell’inconscio ottico di cui parlava Walter Benjamin nel suo saggio sulla fotografia.

 

Cinema come fascinazione onirica, dunque – come dichiarava in un’intervista anche Federico Fellini – dove il regista è al contempo autore ed ospite del proprio sogno.

 

In questo senso, le immagini fotografiche e cinematografiche, da Niépce e Muybridge fino a Man Ray o Josef Sudek, Bergman Vigo o Dreyer, viaggiano sempre al di là dei loro autori, provengono forse da altri universi, inconsci o semplicemente ignoti – frammenti d’eternità che l’artista capta quasi come un medium, icone enigmatiche che vivono di vita propria, e indipendentemente dalle sue intenzioni.

 

Come ha detto una volta Andrej Tarkovskij, «L’immagine non è questo o quel significato espresso dal regista, bensì un mondo intero che si riflette in una goccia d’acqua, in una goccia d’acqua soltanto».

 

Ecco; noi vorremmo provare a raccogliere, nel Festival, questi riflessi a volte effimeri, subito perduti, scamparli dalla devastazione e dalla dimenticanza generali, umili custodi della libertà, della leggerezza, della potenza e della fragilità dell’arte.

 

In questo senso, è nostra intenzione inaugurare una Mostra del Cinema che possa divenire, negli anni, un punto di riferimento per tutti gli amanti del cinema inteso come forma di espressione artistica, per tutti quelli che, sia come autori che come spettatori, come critici o irriducibili cinéphiles, non possono far altro che respirare cinema. Vorremmo quindi che la Mostra si facesse anche punto d’incontro unico e privilegiato, luogo dove lo spettatore possa sfuggire al proprio ruolo per trasformarsi, attraverso lo stesso atto dell’osservazione, attraverso l’emozione del vedere, in una parte dell’evento, e in un certo senso in un suo co-creatore. Così accadeva in Grecia alle origini del teatro classico, durante le feste dionisiache, nel flusso emotivo inarrestabile che invadeva tutti i partecipanti; così accadeva nei grandi Festival Cinematografici degli anni ’60 e ’70, alle proiezioni di Tarkovskij, Buñuel, Godard, Bresson o Antonioni; come pure nei Festival Underground americani con le opere di Brakhage, Maya Deren, Robert Frank; così vorremmo possa accadere ancora nella sala della nuova Mostra del Cinema.

 

Nessun luogo ci è parso più idoneo allo scopo della città di Genova, con il suo porto e i suoi contrasti, con le sue luci abbaglianti e le tenebre della città vecchia, con le sue mille lingue straniere e il suo dialetto, con le sue innumeri partenze e i suoi ritorni.

 

Coerentemente all’impostazione sia etica che estetica qui delineata, il Gran Premio del Festival sarà conferito ad un film indipendentemente da genere, durata e provenienza: il vincitore potrà essere un lungometraggio di fiction così come un documentario o un cosiddetto «film sperimentale» di pochi minuti.

 

Daremo inoltre particolare importanza alle proiezioni di opere fuori concorso e a retrospettive tematiche.